Girovagando per una libreria è quasi impossibile non imbattersi in un’autobiografia.
Questo genere letterario unisce trasversalmente le tematiche e le persone più varie, che si tratti di un uomo o di una donna che hanno incrociato e sono stati protagonisti dei fatti della storia mondiale o europea, di un personaggio del cinema o di un famoso scalatore, o della “persona della porta accanto” che vuole raccontarci la sua storia.
Quando incontriamo una persona sconosciuta e vogliamo conoscerla, capire “chi è”, finiamo col domandarle “raccontami la tua storia“; forse poi le consegneremo, a nostra volta, il nostro personale racconto. Ma anche quando, alla fine della giornata, ci ritroviamo accanto alle persone con cui scriviamo giorno dopo giorno i capitoli di questa nostra storia, che inevitabilmente si intreccia con la loro, assaporiamo il piacere di condividere reciprocamente il racconto della giornata.
Così i bambini riferiscono ai genitori com’è andata a scuola, e che si sono divertiti tantissimo alla festa di compleanno da cui sono appena tornati; gli adulti si sfogano dopo un’intensa giornata di lavoro; gli amici ci chiamano per sapere come stiamo.
La vita è proprio una storia, da raccontare e condividere, con un inizio e una fine, una trama e dei capitoli? Sembra proprio di sì.
Infatti un interlocutore che si trovi davanti alla richiesta di raccontarsi sa cosa fare: che si parli di un singolo episodio o di tutto il proprio percorso di vita, tipicamente egli costruisce una narrazione coerente che comincia dall’infanzia e arriva al presente, con un inizio, una parte centrale e una fine. Vi sono personaggi principali e comparse: la propria storia è resa possibile e preceduta da altre storie, a cui si lega consequenzialmente. Mentre si racconta è fondamentale chiarire il “vero” significato dei fatti e la loro coerenza con la trama principale della storia, che si snoda attorno a momenti cruciali, fatti importanti, momenti critici, scelte a bivio.
Tuttavia, anche questa è una metafora (Lakoff e Johnson, 1980) talmente radicata nella cultura e nella tradizione letteraria occidentale che ormai è diventata parte del pensiero convenzionale. In quanto tale, come abbiamo visto nei precedenti articoli, anche questa metafora mette in luce degli aspetti di noi e della nostra vita, nascondendone altri e rielaborandola in un tutto unificato (Centomo, 2011).
Ecco allora che a seconda del mutare delle circostanze della vita si rivedono le proprie storie, cercando una nuova coerenza Così, ad esempio, un momento di forte crisi personale dominato dall’ansia, dalla depressione, o magari dalla dipendenza dall’alcol può venire letto, a posteriori, come un passaggio necessario che ci ha portato verso l’attuale realizzazione di sé; un matrimonio fallito è stato la chiave che ci ha consegnato all’amore della nostra vita. D’altra parte, ci sembra che ciò che siamo oggi sia il prodotto di certi eventi accaduti in passato, nel bene e nel male.
Tale metafora ci permette di comprendere nei termini di una storia l’esistenza, propria ed altrui: il nostro procedere attraverso il flusso cangiante degli eventi diventa l’espressione di un’unica traccia che si sviluppa e si svela mentre vi si prende parte. La percezione di una trama orientata verso un obiettivo, magari un “lieto fine”, ci permette di anticipare gli eventi futuri ma anche di rivederne l’intelaiatura man mano che se ne aggiungono di nuovi.
L’utilizzo della metafora “la vita è una storia” conferisce senso e significato alla vita stessa, dando una consistenza e un ordine alle proprie esperienze sulla base delle caratteristiche che percepiamo come rilevanti per il suo stesso svolgimento (Lakoff e Johnson, 1980). Questo anche quando ci sentiamo “intrappolati” in una storia che procede inesorabilmente verso un finale infelice.
Tuttavia, una nuova metafora potrebbe rendere possibile una nuova comprensione della propria “storia” (Ibidem). Forse, allora, vale la pena di chiederci a quale metafora stiamo dando voce, e quali implicazioni ha tale metafora per la nostra personale trama di vita; questo può diventare l’obiettivo di un percorso psicoterapeutico.
BIBLIOGRAFIA
CENTOMO, C. (2011), Il ruolo delle metafore nella costruzione dell’esperienza, in www.psicolife.it
LAKOFF G., JOHNSON M. (1980), Metaphors we live by, University of Chicago Press, Chicago
BARCLAY M. W. (1997), The metaphoric foundation of literal language, Theory and Psychology, 7, p. 355-372
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