Dalla mente bicamerale alla coscienza
Di: Dr. Mario Talvacchia
Psicologo e Psicoterapeuta in Ipnosi e Psicoterapia Ericksoniana
“La nostra normale coscienza in stato di veglia, la coscienza razionale, come la chiamiamo, non è altro che un tipo speciale di coscienza, mentre tutto attorno ad essa, separate dal più trasparente degli schermi, vi sono forme potenziali di coscienza del tutto diverse.
Possiamo attraversare tutta la vita senza sospettarne l’esistenza; ma, presentandosi lo stimolo adeguato, alla minima pressione appaiono in tutta la loro completezza vari tipi di strutture spirituali, che probabilmente hanno in qualche luogo il loro campo d’applicazione e d’adattamento.
Nessuna visione dell’universo nella sua totalità può essere definitiva, quando lascia fuori queste altre forme di coscienza” (W. James, Le Varie Forme dell’Esperienza Religiosa, pag.334).
Cos’è la coscienza?
A cosa serve? Quando si è sviluppata? È indispensabile? Queste ed altre domande hanno portato, negli ultimi anni, Julian Jaynes ad intraprendere un lavoro di ricerca, culminato con lo sviluppo d’interessanti ipotesi su quel mistero che chiamiamo coscienza. Le sue sono delle risposte corroborate da numerosissime testimonianze storiche, filosofiche, antropologiche, archeologiche, anatomo-funzionali. Questa coscienza quando si sviluppò? Da dove venne? E perché? Il problema della coscienza ancora persiste, nonostante i tentativi filosofici di chiarire quest’enigma.
Forse si tratta di una proprietà della materia? Oppure è una proprietà unica dei soli organismi viventi? Forse è figlia della memoria e dell’apprendimento? O, come afferma l’ipotesi metafisica, nell’evoluzione umana deve esserci qualcosa che va oltre la combinazione di materia? Si tratta di una semplice spettatrice degli eventi cosmici o l’emersione della coscienza è un evento critico lungo la scala del progresso evolutivo?
Tutta l’opera di Jaynes, nel suo libro dal titolo “Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza” si fonda su una conoscenza ben precisa dell’anatomia e della fisiologia del cervello. Jaynes è convinto che “sia esistita una razza di uomini che parlavano, giudicavano, ragionavano, risolvevano problemi, che facevano in definitiva quasi tutto quello che facciamo noi, ma che non erano coscienti” (J. Jaynes, Il Crollo della Mente Bicamerale e l’Origine della Coscienza, pag.69).
Il punto di partenza è la dimostrazione che noi reagiamo continuamente alle cose che ci circondano, e il più delle volte non ne siamo coscienti. L’attività cosciente non occupa tutto lo spazio mentale, neanche quando siamo svegli. Il ruolo della coscienza nell’apprendimento d’attività complesse è indiscusso, ma non è detto che la coscienza sia necessaria anche nell’esecuzione delle abilità, anzi, spesso può essere d’intralcio.
Secondo Jaynes, la coscienza non è una copia dell’esperienza, e non è necessaria per molti processi come il pensiero e la ragione.
La coscienza non interviene necessariamente nel parlare, nello scrivere, nell’ascolto e nella lettura, non è nemmeno la sede della ragione, anzi i pensieri più creativi fanno a meno della sua presenza. Se la coscienza non è tutte queste cose, se non è estesa come noi pensiamo, se non è necessaria per tante attività allora cos’è? Jaynes analizza alcuni caratteri della coscienza, accennando gli aspetti più importanti.
Il primo aspetto è la spazializzazione, intesa come lo spazio mentale metaforico, che modifichiamo continuamente ogni volta che diveniamo coscienti di una nuova cosa.
La spazializzazione permette la separazione delle cose, la giustapposizione d’eventi e la loro analisi. “Nella coscienza non vediamo mai nulla nella sua interezza” (J. Jaynes, Il Crollo della Mente Bicamerale e l’Origine della Coscienza, pag.85), noi facciamo oggetto della nostra attenzione solo una parte di una cosa, in ciascun attimo. Forse non siamo mai coscienti della realtà delle cose, ma solo di ciò che selezioniamo da esse. Questa è la caratteristica selettiva della coscienza. Un’altra caratteristica è quella della creazione dell’analogo io, che è la metafora di noi stessi. Possiamo immaginare noi stessi nell’atto di fare qualcosa e prendere decisioni sulla base d’esiti immaginati. Questo grazie alla presenza di un sé immaginato che opera in un mondo immaginato.
La narratizzazione è presente ogni volta che siamo coscienti, noi narratizziamo qualunque cosa che si trovi nella coscienza.
Forse, si domanda Jaynes, la coscienza è l’invenzione di un mondo parallelo sulla base del linguaggio, un mondo parallelo al mondo del comportamento? Se la coscienza è fondata sul linguaggio, la sua origine è molto più recente di quanto non si sia supposto finora.
Analisi della Coscienza
L’analisi di Jaynes parte dall’esame degli scritti più antichi dell’umanità. Il primo testo della storia scritto in una lingua traducibile è l’Iliade. Nell’Iliade non c’è coscienza, e l’analisi dettagliata dei termini più incerti porta alla conclusione che non esistono parole atte a designare la coscienza.
I personaggi dell’Iliade non hanno facoltà d’introspezione, e sembra che i loro comportamenti siano guidati da voci interne. Forse gli dei erano organizzazioni del sistema nervoso centrale, presenze costanti nel tempo.
Il dio era parte dell’uomo, gli dei erano quelle che oggi noi chiamiamo allucinazioni.
L’uomo dell’Iliade non aveva una soggettività, non era cosciente d’essere cosciente e non possedeva uno spazio mentale per l’introspezione. Jaynes chiama questa forma mentale, mente bicamerale.
I comportamenti, le decisioni, le iniziative, non erano organizzate coscientemente, ma udite dall’individuo. Egli obbediva a queste voci allucinatorie, non cosciente del da farsi.
La convinzione è quella che il poema indichi una forma mentale diversa dalla nostra, una mente scissa in due parti: una parte chiamata dio e una parte uomo. Nessuna della due parti era cosciente. Privo di coscienza, l’uomo bicamerale era parte dell’accadere del mondo, senza possibilità di coscienza. È probabile che le voci all’epoca bicamerale fossero simili alle allucinazioni uditive dell’uomo moderno. Delle voci possono essere udite anche da persone normali in periodi di stress molto forte, forse a causa dell’accumulo nel sangue di sostanze di decomposizione dell’adrenalina, causato dallo stress.
In ogni modo, sembra che le allucinazioni abbiano un sostrato innato nel sistema nervoso.
La soglia di stress doveva essere più bassa che quell’odierna, tale da provocare reazioni anomale alla prima novità che imponeva un comportamento nuovo.
La voce arrivava come un comando neurologico e udire significava obbedire. Un ruolo importantissimo, nell’analizzare la mente bicamerale, è dato alle aree del linguaggio. Sappiamo tutti, il ruolo svolto dalla corteccia motoria supplementare, dall’area di Broca e dall’area di Wernike. Sembra che quest’ultima sia la più indispensabile per il linguaggio normale. La cosa che incuriosisce di più, è che queste tre aree si trovino tutte nell’emisfero sinistro, mentre tutte le altre importanti funzioni sono rappresentate bilateralmente. Sembra strano che la più recente e importante delle abilità umane non abbia rappresentazioni nell’emisfero destro. Jaynes si chiede se queste aree dell’emisfero destro, corrispondenti alle aree del linguaggio, non abbiano avuto in passato un ruolo che ora non hanno più. Forse il linguaggio si sviluppò solo in un emisfero per lasciare l’altro libero per l’ascolto degli dei?
Forse le commessure anteriori fungevano da tramite per i due emisferi?
Studi scientifici dimostrano che: entrambi gli emisferi sono in grado di comprendere il linguaggio e solo il sinistro può parlare. Nell’emisfero destro, nell’area corrispondente all’area di Wernike dell’emisfero sinistro, esiste una funzione vestigiale simile alla voce degli dei.
Gli studi fatti da Wilder Penfield dimostrano che stimolando quest’area si possono verificare esperienze allucinogene a carattere uditivo, simili ad imperativi divini. I due emisferi sono in grado di funzionare come due persone indipendenti, forse in passato erano la parte divina e quell’umana e le differenze nelle funzioni cognitive sono forse lo specchio delle differenze tra uomo e dio.
La plasticità del cervello, inoltre, permette mutamenti come quello dall’uomo bicamerale all’uomo cosciente, sotto lo stimolo dell’apprendimento e della cultura.
“La mente bicamerale è una forma di controllo sociale ed è per la precisione quella forma di controllo sociale che consentì all’umanità di passare dai piccoli gruppi di cacciatori-raccoglitori alle grandi comunità agricole” (J. Jaynes, Il Crollo della Mente Bicamerale e l’Origine della Coscienza, pag.159), permettendo l’origine della civiltà.
Uomini e donne non erano coscienti, ognuno aveva una parte divina che impartiva ordini, gli dei erano la volizione dell’uomo.
Quali mutamenti permisero il passaggio dalla mente bicamerale alla coscienza? Quando avvenne questo? Perché? Jaynes, con l’ausilio di documenti storici, archeologici, antropologici, vede il secondo millennio a.C. come teatro di grandi sconvolgimenti sia geografici sia culturali. L’inizio dei commerci, l’aumento della popolazione, le guerre, misero in luce la precarietà e la fragilità delle teocrazie bicamerali. L’avvento della scrittura, su tavolette d’argilla, provocò l’indebolimento delle allucinazioni uditive. Gli sconvolgimenti storici come l’eruzione di vulcani, l’inabissarsi delle terre dell’Egeo, il caos migratorio resero inefficienti le voci divine. Questo ed altro portarono all’emersione di nuove capacità mentali, che diedero il via allo sviluppo della coscienza.
Lo sviluppo di nuove aree cerebrali, di nuove connessioni anatomiche portò al conosci te stesso (della cultura greca), dando inizio ai ricordi, ai pensieri ed emozioni, creando un analogo io. Così le voci divine divennero superflue, e furono relegate in speciali luoghi detti templi o in speciali persone chiamate oracoli. Il passaggio dalla mente dell’Iliade a quella dell’Odissea, dall’Antico Testamento al Nuovo, mette in luce il passaggio da una forma mentale bicamerale ad una coscienza soggettiva.
La transizione ad una nuova forma mentale è ancora in corso, e intorno a noi sono ancora visibili i residui del nostro recente passato bicamerale.
L’esperienza religiosa è forse il residuo più manifesto, la convinzione dell’esistenza di una relazione con un’entità più vasta è ancora viva.
Profeti e poeti, oracoli, culti di statue, medium, astrologi, possessioni, santi ispirati, mistici, tarocchi, maghi, sciamani, danzatori, ipnotismi, meditazioni ecc. non sono altro che residui di una diversa forma mentale, e la dimostrazione della varietà di tecniche per mezzo delle quali l’uomo tenta di ristabilire un contatto con la parte perduta.
Infine un accenno alla schizofrenia che, nella sua fase conclamata, è definita da certe caratteristiche che abbiamo considerato salienti per la mente bicamerale. Allucinazioni, dissoluzione dell’io, distruzione dello spazio mentale, venir meno della narratizzazione. Sembra una ricaduta parziale nella mente bicamerale, l’angoscia di fronte ad un mutamento così brusco, la mancanza di un supporto culturale per le voci, il tentativo di difendersi da una valanga di stimolazioni che travolge ogni cosa, l’impossibilità di un orientamento spaziale e psichico, portano alla tragedia. Lo schizofrenico moderno non può contare sulla sicurezza di una cultura che nega il suo vissuto, lo rende irreale, al contrario degli uomini passati. La lotta contro questa forma mentale primitiva è sempre accesa. Lo schizofrenico, in realtà, “è una mente che si offre nuda al suo ambiente, in attesa di dei in un mondo che ne è privo” (J. Jaynes, Il Crollo della Mente Bicamerale e l’Origine della Coscienza, pag.513).
In conclusione quello di Jaynes sembra essere una delle ipotesi più brillanti verso l’esplorazione di una regione del mentale ancora tanto oscura, che con tanta fatica oggi si cerca di definire in tutte le maniere e che nonostante tutto rimane tuttora indefinibile.
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