Le tre condizioni “necessarie e sufficienti”
Di: Dr.ssa Silvia D’Angelo
Psicologa e Psicoterapeuta in formazione in Psicoterapia Centrata sul Cliente (IACP)
Per creare un clima favorevole alla crescita in tal senso devono realizzarsi tre condizioni.
La prima è la congruenza, che ha a che fare con l’autenticità e la realtà. Rogers chiama congruenza la condizione di chi riesce ad essere sé stesso con gli altri.
Più il terapeuta è se stesso nel rapporto e non si cela dietro una facciata professionale, maggiori sono le probabilità che il cliente possa cambiare e svilupparsi in maniera costruttiva. Il termine trasparenza rende l’essenza di questo elemento: il terapeuta è trasparente nei confronti del cliente e questi può percepire che il terapeuta è presente nel rapporto, senza frenare in alcun modo la sua esperienza.
Purtroppo, non sempre ci riusciamo. Spesso sperimentiamo invece situazioni di incongruenza. Accade tutte le volte che c’è un contrasto tra il nostro organismo e la nostra immagine di sé.
Rogers (1994) fa l’esempio di una madre che si ammala quando il suo unico figlio lascia la casa. Il suo organismo vorrebbe tenere con sé il figlio, la cui presenza le dà benessere, ma è anche consapevole che questo egoismo è in contrasto con l’immagine di una buona madre, che è tale solo se consente al figlio di fare le proprie esperienze. Il contrasto tra la richiesta dell’organismo e l’immagine di sé sfocia nel malessere psichico.
Una persona che è in stato di congruenza, abbiamo detto, è anche in grado di accettare fino in fondo gli altri. E’ alla luce di questa considerazione che bisogna pensare il rapporto terapeutico. Si tratta, in sostanza, di un rapporto tra una persona che è in stato di congruenza – l’analista – ed una persona che è in stato di incongruenza – il cliente.
L’analista deve dunque stabilire con il cliente un rapporto umano autentico, cominciando con l’essere pienamente sé stesso, manifestando i propri pensieri ed i propri sentimenti. Solo in questo modo l’analista può realizzare una autentica empatia, giungere cioè a vedere il mondo del cliente dall’interno, per così dire, a viverne le sensazioni come se fossero le proprie.
La comprensione empatica è, pertanto, la seconda condizione; si riferisce alla capacità del terapeuta di percepire con precisione i sentimenti e i significati personali sperimentati dal cliente e alla possibilità di comunicare questa comprensione. Quando il terapeuta è in stato di congruenza, allora manifesta al cliente una accettazione incondizionata ed una considerazione positiva di ciò che lui è. E’ questa la terza condizione per creare quel clima “favorevole”.
Secondo la condizione della “considerazione positiva”, lo sviluppo e la modificazione positiva si verifica in una persona con maggiori probabilità quando il terapeuta sperimenta un atteggiamento caldo, positivo, comprensivo verso quanto è nel cliente.
Ciò significa che il terapeuta dà valore al suo cliente come persona. Ciò significa che il terapeuta si interessa al suo cliente in modo non possessivo, considerandolo una persona con delle potenzialità proprie.
Ciò comporta una completa disponibilità nei confronti del cliente, quali che siano i suoi sentimenti in quel determinato momento: ostilità o tenerezza, ribellione o sottomissione, stima di sé o sfiducia totale in se stesso. Significa un certo tipo di amore per il cliente, così come egli è; il terapeuta rispetta l’altra persona in quanto la considera distinta da sé, e non cerca di possederla. Il rapporto sarà tanto più efficace quanto più la considerazione positiva sarà incondizionata.
Con il termine ”accettazione incondizionata” s’intende dire che il terapeuta dà valore al cliente in modo assoluto, non condizionato. Non è che accetti certi sentimenti del cliente e ne disapprovi altri; prova una accettazione positiva, non condizionata, nei suoi confronti; è un sentimento spontaneo, positivo, senza valutazioni che implica l’assenza di qualsiasi tipo di giudizio.
L’analista non giudica, non valuta, ma accoglie il cliente, lo accetta, lo valorizza «quasi nello stesso modo in cui un genitore dà valore al suo bambino, considerandolo come persona, senza tener conto del suo particolare comportamento in quel momento» (Rogers, 1994).
Quando ciò accade, il cliente comincia a cambiare.
Abbandona le difese e sperimenta una percezione diversa di sé stesso. Dall’accettazione dell’altro comincia il difficile cammino verso una vita piena. Per prima cosa, prende le distanze dall’immagine di sé e di ciò che dovrebbe essere (l’immagine della buona madre, nell’esempio già citato), si libera dalle aspettative che gli altri nutrono nei suoi confronti e comincia a fare ciò che realmente piace a lui.
Liberatosi dalla presenza opprimente degli altri, il cliente impara ad avere fiducia in sé stesso, si apre alla propria esperienza, in qualche modo esce da un guscio rigido e scopre di poter assumere molte forme, di poter essere molte cose diverse. Scopre, infine, che può anche aprirsi agli altri in una forma più autentica, qualcosa di radicalmente diverso dal gioco delle parti in cui spesso consiste la vita sociale.
Naturalmente non è possibile che in ogni momento ci sia una tale accettazione incondizionata; un terapeuta autentico avrà spesso sentimenti diversi, anche negativi, verso il cliente e quindi non si può dire che il terapeuta debba avere sempre tale disposizione, come se fosse un “dovere”.
Si tratta semplicemente del fatto che, se questo elemento non è presente nel rapporto con una ragionevole frequenza, ci sono meno probabilità che avvenga una modificazione costruttiva della personalità del cliente (Rogers,1994, La terapia centrata-sul-cliente, tr. it., Martinelli, Firenze.).
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