Modelli Identificativi del Disturbo Borderline
Di: Dr. Daniele Irto
Psicologo e Psicoterapeuta in Ipnosi e Psicoterapia Ericksoniana
I vari modelli proposti per identificare il nucleo centrale del disturbo “borderline” di personalità insistono, sia pure con linguaggi teorici diversi, su tre problemi fondamentali:
- la risposta emotiva abnorme ad eventi reali o immaginati di abbandono, separazione e solitudine (Adler, Beck, Masterson);l
- a difficoltà a modulare le reazioni emotive a causa di un deficit dei processi mentali superiori deputati a tale funzione (Adler, Fonagy, Linehan);
- la rappresentazione molteplice, contraddittoria e non integrata che il paziente ha di sé e degli altri (messa in rilievo soprattutto dal modello di Kernberg).
Al clinico che segua pazienti borderline in psicoterapia, tutti e tre questi problemi possono apparire come ragionevoli candidati al ruolo di disturbo nucleare. Secondo Maffei, nel lavoro psicoterapeutico concreto, spesso non sembra necessario scegliere uno solo fra i tre problemi suddetti come centro intorno a cui ruotano i vari disturbi del paziente. In altre parole, per lo psicoterapeuta è spesso vantaggioso ascoltare il proprio paziente borderline avendo in mente che il nucleo centrale del suo disturbo è tanto una rappresentazione contraddittoria e non integrata di sé e degli altri, quanto una particolare reattività all’abbandono e insieme una difficoltà a modulare e regolare l’esperienza emotiva.
Ora, secondo molti autori, è oggi possibile identificare un processo mentale ed interpersonale unitario, che si svolge nel contesto delle relazioni di attaccamento (interessando dunque direttamente le dinamiche di separazione), e da cui emergono tanto una rappresentazione molteplice e dissociata di sé quanto una difficoltà a riconoscere e regolare gli stati mentali (incluse le emozioni).
Questo processo unitario è noto come disorganizzazione dell’attaccamento, un modello adeguato del nucleo centrale della patologia borderline.
Per dirla secondo le più recenti teorizzazioni, il disturbo “borderline” di personalità, o “disorganizzazione del sistema motivazionale dell’attaccamento” indica così una struttura di personalità che comporti tanto rappresentazioni opposte e non integrate di sé-con-l’altro, cioè rappresentazioni Sé-oggetto scisse, quanto deficit nelle funzioni metacognitive e di auto-regolazione delle emozioni. Il concetto di “disorganizzazione dell’attaccamento” rappresenta un tentativo unificante che permette di considerare unitariamente, come nucleo centrale della patologia “borderline”, e nel contesto di importanti esperienze intersoggettive, tanto i temi cari alle teorie del conflitto (mancata integrazione di rappresentazioni opposte di sé-con-l’altro) quanto i temi centrali alle teorie del deficit (ostacoli all’auto-regolazione degli impulsi e delle emozioni).
In ogni modo, per rispondere in maniera più completa alla domanda su cosa sia effettivamente il disturbo “borderline” di personalità bisogna innanzitutto tener presente a cosa ci si riferisce quando si parla di “struttura nevrotica” e di “struttura psicotica”, le due direzioni diagnostiche culturalmente più importanti nell’inquadramento clinico convenzionalmente accettato.
Ebbene, se si approfitta di una visione quanto meno psicodinamica del disturbo mentale, parlando del disturbo di personalità in particolare, si può concepire per sommi capi uno sviluppo dell’Io e della personalità individuale che faccia capo a tre tappe fondamentali: in una prima fase gli stati iniziali dell’Io del bambino piccolo che si distingue dal non-Io resterebbero ancora alquanto indifferenziati. In una seconda fase si è in uno stato in cui le linee di forza legate ai conflitti, alle frustrazioni, agli effetti delle pulsioni e della realtà, alle difese dell’Io e alle sue reazioni alle spinte interne ed esterne comincerebbero ad orientare alla costituzione di una struttura sempre più definita e stabile, preorganizzandone gradualmente le linee di forza. In una terza ed ultima fase si arriverebbe ad un’autentica, vera e propria struttura di personalità, scompensata o meno che sia.
A questo punto, similmente alla cristallizzazione di una sostanza minerale, le linee di clivaggio, portanti, strutturali appunto, sarebbero solidamente e definitivamente costituite senza più alcuna variazione possibile.
Nel caso in cui un cristallo minerale si spezzi potrà farlo solo secondo le linee di forza prestabilite, o appunto “preorganizzate”. E così, allo stesso modo, se una cristallizzazione o una struttura nevrotica o psicotica si “spezzano” o scompensano non potranno che dare luogo ad una efflorescenza nevrotica o psicotica, rispettivamente ad una nevrosi o ad una psicosi.
E non vi sarà la minima comunicazione possibile tra la linea nevrotica e quella psicotica una volta compiuta una definitiva strutturazione.
Ebbene, tra le due linee strutturali nevrotica e psicotica rimane una sorta di terra di nessuno, un limbo, un significato indefinito, o meglio un vuoto significante che organizza-disorganizza quello stesso spazio.
E’ il campo mobile degli “stati limite” e della loro organizzazione più o meno ben riuscita; un campo molto meno rigido, solido, strutturato e definitivo delle cristallizzazioni nevrotiche o psicotiche.
Ma proviamo ad addentrarci maggiormente nei processi (soprattutto psicodinamici) che ipoteticamente potrebbero condurre l’individuo alle porte di un simile stato psichico.
Innanzitutto, se l’Io riesce a superare il momento in cui le frustrazioni della prima età possono creare spiacevoli e tenaci fissazioni prepsicotiche, non regredendo a tali fissazioni neanche nella sua evoluzione ulteriore, potrebbe incorrere tuttavia in un importante trauma psichico proprio nei momenti iniziali di un’evoluzione edipica normale. A questo punto, il turbamento pulsionale sopraggiungerebbe in uno stato dell’Io ancora troppo disorganizzato e immaturo sul piano dell’assetto, dell’adattamento e delle difese (un esempio potrebbe essere un qualsiasi tentativo di seduzione da parte di un adulto).
In breve il bambino entrerebbe in contatto con situazioni edipiche troppo precocemente, brutalmente e massicciamente.
Questa emozione genitale precoce costituirà il vero trauma affettivo, e il bambino non potrà inserire l’esperienza in un contesto di un’economia triangolare e genitale come avrebbe potuto fare un po’ più tardi una struttura nevrotica conclamata. Non potrà accedere alla rimozione per liberare la coscienza dall’eccesso di tensione sessuale e aggressiva, quindi ricorrerà a meccanismi vicini a quelli psicotici: il diniego, l’identificazione proiettiva, sdoppiamento delle imago, manipolazione onnipotente dell’oggetto.
Questo trauma avrà in qualche modo il ruolo di “primo disorganizzatore” dell’evoluzione psichica del soggetto, fermando l’evoluzione libidica cominciata in condizioni normali. Darà luogo ad una “pseudolatenza” precoce e duratura, coprendo i tumulti affettivi dell’adolescenza, e prolungandosi per una parte (a volte la totalità) della vita adulta del soggetto.
Le conseguenze più evidenti saranno legate a quella sorta di immaturità affettivo-relazionale così caratteristica del disturbo in questione.
Questa dinamica è quella che viene convenzionalmente intesa come il “tronco comune organizzato” dello stato limite. Tuttavia esso non può essere inteso come una vera e propria struttura, nel senso in cui si intendono una struttura nevrotica o psicotica, ossia attraverso criteri clinici di fissità, solidità nella categoria e specificità definitiva che tali organizzazioni comportano.
Con lo stato limite ci troviamo di fronte ad una situazione che rimane soltanto “organizzata” ma non “strutturalmente fissata” e che determina quella sorta di “stabile instabilità” caratteristica del paziente borderline.
In un simile contesto l’Io lotta strenuamente per mantenersi fuori dalle due grandi linee di vera struttura, di cui quella psicotica è stata superata, e quella nevrotica non ha potuto essere raggiunta nell’evoluzione pulsionale e maturativa dell’Io stesso.
Comunque, numerose ed ancora vivissime sono le diatribe relative alla diagnosi e alla valutazione di un simile quadro clinico: ad esempio molti dei disturbi di personalità non sono tanto costanti nel tempo quanto implicherebbe il DSM e quindi non sono relazionabili a diagnosi stabili. Questo risulta più che evidente ad una qualsiasi valutazione di affidabilità test-retest.
Un altro problema, ripetiamo, è legato al fatto che spesso è difficile diagnosticare uno specifico disturbo di personalità senza imbattersi in un’ulteriore ampia gamma di tratti soggettivi che rendono plausibili più diagnosi, evidenziando così quanto il problema della comorbilità sia ancora tutt’altro che risolto.
Tutto questo porta a riflettere già da tempo sull’effettiva non adeguatezza del sistema diagnostico per “fisse” categorie in uso nel DSM-IV nel diagnosticare i disturbi di personalità in particolare, tanto che in ambienti clinici si predilige spesso un più sensibile approccio multi-dimensionale. Inoltre, data la vaghezza del quadro clinico, si tentano strade in cui l’approccio diagnostico sia anche allo stesso tempo approccio terapeutico .
L’ipnosi ericksoniana in particolare ne è un importante esempio.
Nonostante tutto questo il disturbo di personalità si manifesta con una concretezza spesso dirompente: da un punto di vista più strettamente descrittivo si ha a che fare con un quadro sintomatologico fondato su quattro caratteristiche chiave applicabili indistintamente per i vari sottogruppi possibili: rabbia come affetto principale o esclusivo, difficoltà nelle relazioni interpersonali, assenza di una consistente identità del Sé e depressione pervasiva.
Partendo da questa schematizzazione il paziente borderline può manifestare una moltitudine di sintomi tra loro correlati: un consumante quanto arrogante desiderio di relazioni diadiche esclusive in cui non vi sia alcun rischio di abbandono. Una volta raggiunta l’intimità con un’altra persona, inoltre, può entrare in due tipi di vissuti d’ansia: da un lato comincia a temere di essere fagocitato dall’altro perdendo così la propria identità, in una primitiva fantasia di fusione. Dall’altro sperimenta un’angoscia ed un panico abbandonico. Per solitudine può compiere atti distruttivi nella speranza di esser salvato dalla persona a cui è attaccato. Si possono manifestare distorsioni cognitive, come il pensiero quasi-psicotico con i suoi transitori, circoscritti e atipici strappi nell’esame di realtà, anche nelle relazioni interpersonali. Sono usuali percezioni abbandoniche quasi-deliranti da parte di figure amate. Nel caso di legami con uno psicoterapeuta si manifestano regressioni psicotiche transferali.
Secondo Otto Kenberg esperienze infantili negative possono far sì che il bambino sviluppi un Io “incerto”, caratteristica essenziale del disturbo borderline di personalità. Inoltre, nonostante l’evidente debolezza dell’Io e il loro bisogno di essere rassicurati i pazienti borderline conservano la capacità di esame di realtà. Tuttavia sono soliti dicotomizzare la realtà in oggetti totalmente buoni o oggetti totalmente cattivi secondo un meccanismo di difesa quale la scissione. Per questi stessi motivi hanno enormi difficoltà a regolare le loro emozioni riguardo al mondo ed a se stessi. Vedono le loro famiglie come poco espressive, poco coese e altamente conflittuali, raccontando spesso di maltrattamenti o abusi sessuali.
Sempre secondo Kenberg lo stato limite, o “organizzazione borderline di personalità”, si riflette in tipologie di pazienti con caratteristici pattern di debolezza dell’Io, operazioni difensive primitive e relazioni oggettuali problematiche.
Egli osservò una varietà di sintomi tra i quali ansia liberamente fluttuante, sintomi ossessivo-compulsivi, fobie multiple, reazioni dissociative, preoccupazioni ipocondriache, sintomi di conversione, spunti paranoidi, sessualità perversa polimorfa e abuso di sostanze. Tuttavia sottolineò quanto un semplice approccio descrittivo non potesse essere sufficiente ad una diagnosi chiara e definitiva, ritenendo che quest’ultima dovesse fondarsi su una sofisticata analisi strutturale rivelante quattro caratteristiche chiave. “Manifestazioni non specifiche di debolezza dell’Io”, ossia difficoltà a posticipare il soddisfacimento degli impulsi e modulare affetti ansiosi, e difficoltà a sublimare intense pulsioni e a utilizzare la coscienza per guidare il comportamento. “Scivolamento verso processi di pensiero primario”, ossia regressione ad un pensiero simil-psicotico per un’assenza di struttura o sotto la pressione di intensi affetti. “Operazioni difensive specifiche”, ossia scissione che si manifesta sia con alternanza di atteggiamenti contraddittori, vissuti dal paziente con mancanza di preoccupazione e blando diniego, sia con divisioni delle persone facenti parte dell’ambiente del paziente in gruppi di “tutti buoni” e di “tutti cattivi”, sia con prospettive e immagini di sé contraddittorie coesistenti e in alternanza di predominio, di giorno in giorno e di ora in ora.
Tra le altre forme di scissione possibili troviamo l’idealizzazione primitiva, l’onnipotenza e la svalutazione in cui ad esempio gli altri vengono considerati in termini del tutto positivi o del tutto negativi. Inoltre, l’identificazione proiettiva, in cui le rappresentazioni di sé o dell’oggetto sono scisse e proiettate negli altri nel tentativo di controllarli. Infine “relazioni d’oggetto patologiche interiorizzate”, ossia difficoltà ad integrare gli aspetti libidici e aggressivi degli altri oscillando tra idealizzazione e svalutazione. Inoltre incapacità di integrare rappresentazioni di sé positive e negative generando diffusione di identità.
In ogni modo, la visione di Kenberg non identifica l’organizzazione borderline di personalità con uno specifico disturbo di personalità, ma con molti e diversi disturbi di personalità.
Esistono tutt’ora numerose controversie sul valore e sul significato del termine “borderline”: se da usarsi in relazione ad un disturbo di personalità specifico o in un senso più ampio per descrivere una dimensione della personalità.
Tuttavia l’evidenza dell’inadeguatezza della prima possibilità va manifestandosi sempre più chiaramente, rendendo necessari approcci multidimensionali che rendano conto della complessità del fenomeno.
Il tentativo dell’approccio psicodinamico in quest’ottica offre certamente possibilità assai ampie di comprensione e di intervento.
Ad esempio, secondo Masterson e Rinsley il problema si situa fondamentalmente nella dinamica separazione-individuazione tra madre e bambino, ed in particolare sulla responsabilità della madre piuttosto che sull’aggressività del bambino.
A parer loro, le madri dei pazienti borderline sono loro stesse tipici soggetti borderline, pertanto altamente conflittuali ed ambivalenti rispetto alla crescita dei loro figli. Da ciò il bambino riceve il messaggio che crescere e diventare indipendente provocherà la perdita dell’amore e del sostegno materno. Quindi rimanere dipendenti resta l’unica possibilità di mantenere il legame materno. E ogniqualvolta si profili per lui una possibilità di separazione, autonomia o “svincolo affettivo” non potrà che manifestare “depressione abbandonica”.
Si è di fronte ad una tipica “relazione d’oggetto scisso” in cui l’unità relazionale con l’oggetto gratificante è associata al sentimento di essere amato e gratificato, con un oggetto materno che dà conferme ama e sostiene e un introietto materno che genera una rappresentazione di sé come “bambino buono”, ubbidiente e passivo.
Al contrario l’unità relazionale con l’oggetto frustrante è associata a sentimenti di rabbia, depressione abbandonica e disperazione, con un oggetto materno cattivo e critico e un introietto materno che genera una rappresentazione di sé come “bambino cattivo”, colpevole e sgradevole.
Oppure, secondo Adler, il disturbo borderline di personalità non è da leggersi in funzione di modelli psicodinamici di psicopatologia del conflitto (come secondo Kenberg, Masterson e Rinsley) ma piuttosto come un problema di deficit o “insufficienza”; in altre parole come un problema di incapacità del paziente borderline di sviluppare un oggetto interno “contenente-confortante”. Più semplicemente una questione di funzione materna inconsistente e insufficiente, a causa di sentimenti di mancanza di una figura materna emotivamente disponibile durante l’infanzia. Problemi, questi, che non possono che compromettere nel bambino il normale sviluppo cognitivo (e non solo) di una “memoria evocativa” della madre durante la sua assenza.
In breve Adler, influenzato dalla psicologia del Sé di Kohut, vede il soggetto borderline come un individuo alla ricerca di funzioni oggetto-Sé provenienti da figure esterne, a causa della mancanza di introietti supportivi. Una mancanza che porta a sentimenti di vuoto, a tendenze depressive e ad una dipendenza adesiva.
In assenza di risposte da parte di figure significative che fungano da oggetto-Sé, gli individui borderline tendono alla frammentazione del Sé, data l’inadeguatezza delle loro risorse interne.
Secondo Grinker, più semplicemente, la sindrome borderline risulterebbe caratterizzata da sentimenti di rabbia come principale o unico affetto, da distorsioni nelle relazioni interpersonali (di tipo analitico, dipendenti o complementari, ma raramente reciproche), da assenza di un’identità coerente del Sé e da depressione (connotata da una senso di solitudine piuttosto che da sentimenti di colpa o auto-accusa). Inoltre tutte le famiglie di soggetti borderline risulterebbero seriamente disturbate nei loro modelli interattivi (non mutuamente protettive, eccessivamente protettive, con negazione dei problemi).
Gunderson, dal canto suo, parla di turbe dell’affettività (rabbia, depressione, anedonia, ansia), di comportamenti impulsivi, brevi esperienze psicotiche (spesso dopo eventi stressanti), di disturbi formali del pensiero (in situazioni non strutturate), di scarsa adattabilità sociale, superficialità, transitorietà e dipendenza nelle relazioni interpersonali.
Akiskal invece si sofferma sull’eterogeneità eziologica della sindrome borderline ma sottolineando la notevole affinità con problematiche di asse I, in particolare disturbi affettivi.
In ogni modo, per quanti approcci o visioni diverse possiamo prendere in esame, di matrice psicodinamica o differente, ciò che le accomuna è un punto fondamentale, un dato oggettivo che le trova tutte d’accordo e che è sotteso tra le diverse elencazioni sintomatiche fin qui esposte: il disturbo borderline di personalità è prevalentemente un disturbo di “simbolizzazione”, ossia un disturbo che si manifesta attraverso sintomi quali l’impossibilità del differimento e dell’intenzionalizzazione temporale, la frequenza e la facilità dei passaggi all’atto (similmente ai disturbi psicosomatici ed alle perversioni sessuali).
In altre parole il disturbo borderline può essere inteso come una fragilità delle funzioni integrative dell’io, in cui si manifesta una vera e propria impossibilità di dare senso alle cose o agli eventi nella mente del soggetto.
Proprio questi aspetti costituiscono le caratteristiche che divengono cruciali nella scelta di un approccio ipnoterapico piuttosto che di altro tipo, inteso come tecnica che capace di stimolare profondamente soprattutto la funzione simbolizzante, quindi tra i pochi approcci davvero proficui rispetto a tale problematica.
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