Di: Dr. Mario Talvacchia
Psicologo e Psicoterapeuta. Scuola Italiana di Ipnosi e Psicoterapia Ericksoniana (S.I.I.P.E.)
William James, in Principi di Psicologia, sembra dirci che la coscienza è qualcosa che crediamo forse di conoscere fino a che qualcuno non ci chiede di definirla.
E’ sempre difficile cogliere e definire uno stato di coscienza, sia esso ordinario o non ordinario, e pare la coscienza resti in quel lembo di terra indefinito dell’esperienza umana. Il punto di vista fenomenologico mette in luce l’idea della totalità, l’idea secondo la quale “è sempre nella totalità dello stato di coscienza, che si manifestano i singoli fenomeni” (K. Jaspers, Psicopatologia Generale, pag.148).
Non c’è un definito stato ordinario di coscienza, ma si può solo rappresentarlo come un flusso di vissuti.
In altre parole, quando possiamo cogliere un vissuto in maniera più nitida, allora ci troviamo di fronte ad uno stato ben definito della coscienza.
Nell’analisi di uno stato di coscienza bisogna soprattutto tener conto dell’idea di come “l’intero stato d’animo sia vissuto nel momento” (K. Jaspers, Psicopatologia Generale, pag.148).
“Lo stato di coscienza è un concetto puramente descrittivo molto vasto, può definirsi: quanto viene effettivamente vissuto in un determinato momento o, in altre parole, la somma, il tutto, rappresentato dai vari processi psichici coscienti” (Bini e Bazzi, Trattato di Psichiatria, pag. 413).
Come si è visto è sempre difficile, se non impossibile, dare una definizione univoca della coscienza e dei suoi stati.
“Genericamente i vari fenomeni psichici, da quelli elementari, come le sensazioni, a quelli più complessi, come il ragionamento o il giudizio, sono stati denominati stati di coscienza” (Bini e Bazzi, Trattato di Psichiatria, pag.45).
William James, chiama gli stati di coscienza stati sostantivi, e intende qualcosa di solido e compatto, una specie di dati primari che andranno a costituire la struttura della coscienza.
Uno stato di coscienza è simile ad una fotografia del mentale che sintetizza tutto il percepito, il pensato dell’attimo. Possiamo pensare ad una struttura o configurazione singolare e dinamica di strutturre psicologiche, una specie di sistema attivo formato da sottosistemi psicologici.
Uno stato di coscienza rappresenta una certa regione di spazio esperenziale, all’interno del quale l’instabilità e la dinamicità sono le caratteristiche di base.
“La nostra normale coscienza in stato di veglia, la coscienza razionale, come la chiamiamo, non è altro che un tipo speciale di coscienza, mentre tutto attorno ad essa, separate dal più trasparente degli schermi, vi sono forme potenziali di coscienza del tutto diverse. Possiamo attraversare tutta la vita senza sospettarne l’esistenza; ma, presentandosi lo stimolo adeguato, alla minima pressione appaiono in tutta la loro completezza vari tipi di strutture spirituali, che probabilmente hanno in qualche luogo il loro campo d’applicazione e d’adattamento. Nessuna visione dell’universo nella sua totalità può essere definitiva, quando lascia fuori queste altre forme di coscienza” (W. James, Le Varie Forme dell’Esperienza Religiosa, pag.334).
Il problema, secondo James, è come raccordarle con il resto, vista la discontinuità della coscienza. Quello che colpisce di più è che uno stato di coscienza non sia un dato definitivo dell’attività psichica. L’attività della coscienza sembra essere sottoposta a continui mutamenti e modificazioni e il passaggio da uno stato di coscienza ad un altro avviene più spesso di quanto pensiamo. L’attività psichica prende le sembianze di un continuo fluttuare, pensieri, sensazioni ed emozioni si susseguono senza sosta.
“Le nostre percezioni del mondo, degli altri e di noi stessi, come anche le nostre reazioni ad esse (cioè, coscienza di esse) sono costruzioni semiarbitrarie” (C. Tart, Stati di Coscienza, pag.44). Il nostro stato di coscienza ordinario è considerato come lo stato di base e qualsiasi allontanamento da questo stato d’equilibrio sfocia in una possibilità di patologia.
Non è detto però che sia sempre così. La percezione del mondo che noi abbiamo, è in realtà il frutto di un complicato processo controllato da molti fattori. Abbiamo imparato a distinguere una realtà consensuale, essendo allo stesso tempo beneficiari e vittime della nostra cultura. La stessa percezione è un atto altamente complesso ed automatizzato. L’evoluzione testimonia che, la funzione fondamentale di uno stato di coscienza è fronteggiare con successo un ambiente.
Lo stato di coscienza ordinario ci aiuta ad intuire ed interpretare ciò che il mondo è, ed a programmare strategie per affrontare i continui cambiamenti. Uno stato di coscienza è un sistema dinamico e le sue componenti cambiano continuamente.
Ogni individuo nel corso della sua esistenza sviluppa solo una piccola frazione dello spettro delle potenzialità psichiche; questo dipende dall’essere nato all’interno di una certa cultura, in un determinato periodo storico, di avere avuto certe esperienze piuttosto che altre, insieme a fattori biologici e ad una vasta serie di determinanti casuali.
Le potenzialità della nostra coscienza sono vaste ma soltanto alcune dunque sono impiegate e utilizzate, tante sono inibite o latenti e aspettano gli stimoli appropriati per emergere.
Molte componenti giocano un ruolo fondamentale nel mantenere l’identità dello stato di coscienza ordinario. C. Tart chiama processi di stabilizzazione i continui controlli e limitazioni nei confronti dei sottosistemi, che costituiscono lo stato di coscienza ordinario.
Possiamo affermare che: l’esterocezione, l’enterocezione, l’elaborazione dell’input, la memoria, il senso d’identità, il senso di spazio-tempo, le emozioni, le valutazioni-decisioni, l’output motorio sono tutti sottosistemi che subiscono delle variazioni, nel passaggio da uno stato di coscienza ad un altro.
Molte forze agiscono nel tentativo di mantenere costanti questi sottosistemi, garantendo equilibrio e identità allo stato di coscienza ordinario.
Basta che intervengano dei fattori che destabilizzino questi sottosistemi, perchè l’integrità dello stato di coscienza venga messa in pericolo. Ciò dimostra la grande instabilità e modificabilità della nostra coscienza e la facilità con cui avviene il passaggio da uno stato di coscienza normale ad uno stato di coscienza alterata, senza implicare necessariamente nulla di patologico.
C. Tart scrive: “Il nostro stato di coscienza ordinario non è qualcosa di di naturale o di dato, ma una costruzione altamente complessa, uno strumento specializzato a far fronte al nostro ambiente e alla gente in esso, utile per alcune cose, ma non inutile per altre” (C. Tart, Stati di Coscienza, Astrolabio, 1977, pag.15).
Noi saremmo i beneficiari e le vittime della particolare capacità selettiva della nostra cultura, e il nostro stato di coscienza potrebbe essere formato da una serie di piccole potenzialità esperenziali che si fondono con diversi fattori casuali.
Volendo infine riassumere le principali caratteristiche che contraddistinguono la coscienza potremmo parlare di indefinitezza, mutevolezza, coscienza come processo, coscienza che unifica i frammenti dell’esperienza, lacunosità, aspetti personali e relazionali, aspetti interpersonali della coscienza, complessità, funzione evoluzionistica della coscienza, molteplicità, continuità e discontinuità.
Ovviamente si tratta solo alcuni aspetti maggiormente noti di quel fenomeno che noi definiamo coscienza, fenomeno che ancora oggi è avvolto in una nube d’incertezza.
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