Gli studi e le ricerche sullo sviluppo morale, che comprendono sia il giudizio morale sia il comportamento morale, hanno avuto nell’ultimo trentennio una notevole estensione, assumendo il carattere di un campo specifico di indagine e teorizzazione. Questo campo, pur facendo parte di quello più ampio dei processi di socializzazione, investe anche problemi che riguardano dimensioni più interne del funzionamento della persona, e in particolare le interazioni tra affetti, esperienza sociale e processi cognitivi che portano alla coscienza morale individuale.

I primi studi sistematici in questo campo risalgono a Piaget (1932), che si è interessato prevalentemente alle forme e allo sviluppo del pensiero e del giudizio morale nel bambino. Le odierne teorie della sociobiologia, sostengono che i  sentimenti che stanno alla base del comportamento altruistico o prosociale sarebbero il prodotto di un’evoluzione di forme di altruismo reciproco, praticate dagli uomini in rapporto alla necessità di difendersi, di proteggersi dai nemici e di condividere. Contributi rilevanti provengono anche dalla prospettiva comportamentista, che si è evoluta nella prospettiva del social learning. Infine, importanti contributi provengono dalla prospettiva psicoanalitica, fin dai tempi di Freud. In questo caso, ad essere indagati con particolare interesse sono stati i processi di ordine relazionale-.affettivo che stanno alla base dell’acquisizione del controllo morale del comportamento.

Due teorie, collegate per certi aspetti, si distinguono per il loro carattere sistematico: sono la teoria di Piaget e quella di Kohlberg, che si collocano nell’ampia prospettiva cognitivo-evolutiva.

L’indagine di Piaget conserva tuttora una grande rilevanza. Fra i metodi seguiti da P. vi è quello che egli chiamò metodo clinico: esso consisteva nel porre delle domande relative a questioni morali ai bambini (6-12 anni), sia riferendosi a fatti comuni nell’esperienza del bambino, come il raccontare bugie, i castighi, i criteri di distribuzione di cose desiderate dai bambini, sia usando storie appositamente inventate nelle quali il bambino doveva valutare il comportamento dei personaggi
Piaget cercava di ricostruire i processi mentali che avevano portato alle risposte; egli usò anche l’osservazione diretta di alcuni giochi dei bambini, che coinvolgevano l’uso di norme sociali, come quelle relative al rispetto delle regole.

Uno degli aspetti fondamentali di questa teoria è la distinzione tra due forme di moralità, che pur essendo prevalenti in successive fasi dello sviluppo, possono convivere in varie forme: il realismo morale e il relativismo morale.
La prima forma, il realismo morale, prevalente fino agli 8 anni, collegata con una prospettiva egocentrica del mondo e con il predominare di un modo di pensare “realistico”: la validità dei principi, rigidi e immutabili, è determinata dall’autorità di chi li ha emanati( es. i genitori), e dalla capacità di questi ultimi di far rispettare tali principi con adeguate sanzioni in caso si trasgressione.
In questa prospettiva i comportamenti vengono giudicati o giusti o sbagliati, e i bambini ritengono che tutti debbano giudicarli in questo modo.
Invece, nella forma del relativismo morale, descritta anche come morale dell’autonomia, l’intenzione e il contesto assumono un ruolo importante nella valutazione dell’atto. Questa forma di moralità tende a prevalere dopo gli otto anni, anche se può coesistere con manifestazioni della morale eteronoma. I principi non sono più considerati immutabili, ma fondati e mantenuti dal consenso reciproco, e quindi modificabili in rapporto a situazioni e contesti diversi.
Nei bambini in cui prevale il realismo morale la bugia è cattiva perché può comportare una punizione, diversamente potrebbe essere permessa.
Successivamente , la bugia è qualcosa di cattivo di per sé, anche se le punizioni venissero soppresse; infine, è negativa perché danneggia la fiducia reciproca. Inoltre, la gravità di una bugia viene valutata non in base all’intenzione di ingannare, ma in base al grado di discrepanza della realtà e in base alla possibilità che la bugia sia creduta; insomma, è più colpevole chi la racconta più grossa.
Secondo Piaget, lo scarso peso attribuito alle intenzioni in rapporto alle conseguenze è anche legato all’esempio dato dagli adulti, che spesso puniscono proprio in base alle conseguenze dei comportamenti.
Piaget sottolinea inoltre, che se il bambino vive con i fratelli o compagni una vita sociale che favorisce i suoi bisogni di simpatia e cooperazione, questo promuoverà una morale fondata sulla reciprocità e non sull’obbedienza.

Secondo Piaget, lo sviluppo del senso di giustizia rappresenta un aspetto primario del passaggio da una morale eteronoma ad una morale autonoma, ed è strettamente legato all’esperienza col gruppo dei pari.
Piaget ha distinto due forme di giustizia:quella retributiva e quella distributiva. La prima è più primitiva e prende in considerazione l’esigenza di una proporzionalità fra meriti e vantaggi assegnati, e fra entità delle trasgressioni e entità delle punizioni. La seconda appare dominata dall’esigenza di uguaglianza.
Nelle indagini di Piaget è emersa la nozione di sanzione espiatoria che domina nella fase di realismo morale: essa è legata all’idea che ad ogni trasgressione debba seguire una punizione severa, che appare conseguenza naturale e necessaria dell’atto punito e che in ogni caso verrà da qualche parte, magari non dalle persone ma dai fatti naturali ( giustizia immanente); essa ha le sue origini nell’uso che gli adulti fanno della punizione .
In seguito alla cooperazione e al rispetto reciproco, viene eliminato il carattere espiatorio della sanzione e prevale l’aspetto della riparazione o dell’osservanza dell’obbligo reciproco. Questa reciprocità ha inizialmente un carattere semplicistico e gradualmente assume un carattere più universalistico.
Piaget ritiene che il ragionamento morale esplicito del bambino sia una sorta di presa di coscienza dell’attività morale. Questa presa di coscienza va intesa come una ricostruzione delle nozioni già sviluppate effettuata anche in base alle nuove capacità cognitive.

Diverse ricerche hanno confermato che le forme principali della moralità individuate da Piaget si ritrovano anche in culture differenti, pur apparendo più come dimensioni entro una molteplicità di aspetti che non come categorie globali. Ciò vale anche per ricerche condotte in Italia.

E’ stato però dimostrato attraverso ricerche come il contesto socio-culturale influenzi i modi e i tempi in cui le differenti nozioni di moralità si sviluppano e concorrono a determinare il giudizio morale: le  ricerche di Matilde Panier Bagat (1982) in cui si è ad es. riscontrato che i bambini di livello sociale medio-basso incontrano maggiori difficoltà nell’acquisizione della nozione di sanzione rispetto ai bambini di livello sociale medio-alto, i quali manifestano maggiori difficoltà per quanto riguarda la nozione di uguaglianza.

A un livello più generale, diversi studi hanno suggerito che Piaget ha sottostimato la comprensione morale dei più piccoli.

La teoria di Kolberg costituisce in parte un’estensione di quella di Piaget , con la quale condivide l’aspetto stadiale, la considerazione centrale dei processi di tipo cognitivo e l’interesse prevalente per il pensiero morale, piuttosto che per lo sviluppo della moralità nelle sue manifestazioni comportamentali. L’estensione consiste in un’articolazione degli stadi, che arrivano a coprire l’età adulta, e in una definizione precisa dei criteri che consentono di collocare le varie forme di giudizio morale nei successivi stadi.
Per Kolberg è fondamentale il parallelismo tra gli stadi dello sviluppo intellettivo e quelli dello sviluppo del pensiero morale; il possesso delle competenze cognitive di uno stadio è una condizione necessaria ma non sufficiente perché siano presenti le corrispondenti caratteristiche del giudizio morale.
Egli si oppone alla concezione che lo sviluppo del pensiero morale sia il risultato di un apprendimento sociale, e ritiene che tale sviluppo derivi da un progressivo ampliamento della comprensione delle caratteristiche delle azioni sociali proprie e degli altri.
Kolberg si è servito fondamentalmente di interviste in modalità analoghe a quelle di Piaget, Kolberg propone ai suoi soggetti dei dilemmi morali, rappresentati da vicende nelle quali il protagonista può prender diverse decisioni. Il soggetto ha il compito di dire cosa dovrebbe fare il protagonista e spiegare le ragioni delle sue decisioni( v. vicenda di Heinz ). Kolberg analizza sia la struttura delle risposte( il modo in cui il soggetto ragiona sulle scelte fatte e le giustifica ), sia il loro contenuto( il giudizio su ciò che il protagonista della vicenda dovrebbe fare ). Le risposte vengono poi valutate con un elaborato sistema di punteggio, che ha assunto il carattere di una scala standardizzata.
Kolberg ha delineato una serie di stadi di sviluppo morale molto articolati, dall’infanzia all’età adulta. La nozione di stadio è strettamente legata a quella di Piaget : lo sviluppo degli stadi va da un livello inferiore ad un livello superiore;ogni individuo passa da uno stadio a quello successivo(invarianza della sequenza);
la sequenza ideata da Kolberg prevede 3 livelli di giudizio morale, ognuno dei quali è diviso in 2 stadi.

Livello preconvenzionale :in questo livello(sotto i 9-10 anni), si considerano le norme che possono comportare una punizione: la motivazione sulla quale si basa la valutazione è legata al rischio di ricevere una punizione, e quindi all’obbedienza all’autorità. La prospettiva socio-cognitiva è quella egocentrica.

  • Stadio 1: orientamento premio-punizione non si tiene conto di possibili differenze nei punti di vista dai quali si valuta un dilemma morale, né si considerano adeguatamente le intenzioni che determinano un comportamento( valutato soprattutto in rapporto alle sue conseguenze sul piano fisico).
  • Stadio 2:  orientamento individualistico e strumentale:ciò che è giusto o sbagliato diventa più relativo, e non dipende più così radicalmente dalla sanzione dell’autorità.

Livello convenzionale:questo livello( dai 13/14 anni fino ai 20 anni ) è caratterizzato dal rispetto di norme che sono state socialmente approvate, e non più dalle conseguenze immediate dell’azione individuale.

  • Stadio 3 :orientamento del “bravo ragazzo”: assume importanza il rispetto delle norme in modo da rispondere alle aspettative positive della comunità della quale si condividono i valori.
  • Stadio 4:orientamento al mantenimento dell’ordine sociale: le relazioni interindividuali vengono considerate nel contesto di un sistema, le cui regole non devono essere infrante. Le norme morali non valgono soltanto in quanto legate ad un gruppo con il quale si hanno legami affettivi ma  connesse con il proprio ruolo all’interno della società, le cui leggi vanno rispettate in quanto garantiscono l’ordine sociale.

Livello post-convenzionale (regolato da principi):le norme morali vanno al di là della società nella quale si vive sono legate ad un sistema di principi astratti e di valori universali.

  • Stadio 5: orientamento del contratto sociale: le regole morali non sono fisse e immutabili ma sono create e quindi modificabili in base ad una sorta di contratto sociale.
  • Stadio 6: orientamento della coscienza e dei principi universali,che possono non essere scritti nelle leggi, e dei quali ognuno risponde alla propria coscienza.

Le critiche all teoria di Kolberg sono che si ritrova più frequentemente la mescolanza di diversi stadi che l’appartenenza ad uno stadio unico;l’elaborazione delle norme viene influenzata dai differenti contesti ecologico-sociali;il modello stadiale avrebbe una capacità relativamente scarsa di interpretare lo sviluppomorale in culture diverse: viene attribuito scarso peso alla famiglia come agente dello sviluppo morale.
Nell’ambito del comportamentismo lo sviluppo morale è stato studiato, in primo luogo, come un aspetto dell’apprendimento: l’individuo impara le norme di comportamento morale attraverso la sequenza delle esperienze in cui alcuni atti sono soggetti a rinforzi positivi, mentre altri sono soggetti a punizioni.
In questo campo di ricerca, comunque, è stato utilizzato un quadro teorico più composito dove gli assunti comportamentismi sono una componente che si fonde con quelle a carattere sociale, cognitivo, ecc).
Fra i diversi orientamenti di ispirazione comportamentista che si sono occupati più estesamente dello sviluppo morale, il principale è rappresentato dal Social Learning. In questa impostazione , si ritiene che i bambini inizialmente apprendano i comportamenti moralmente rilevanti attraverso l’osservazione e l’imitazione di modelli appropriati; questi comportamenti aumentano di frequenza se sono opportunamente rinforzati.

Bandura (1991), assumendo una prospettiva di interazionismo cognitivo-sociale, ha contestato a Kohlberg la concezione di una gerarchia precostituita di forme di moralità, pur riconoscendo l’esistenza di forme di ragionamento morale universali. La prospettiva teorica di Bandura considera lo sviluppo morale all’interno di un processo interattivo globale, dove entrano fattori individuali-personali e ambientali-sociali.
In questa teoria è stata data un’attenzione specifica all’organizzazione dei controlli interni, considerata come parte integrante della moralità: di essa fanno parte le auto-sanzioni, che possono assumere carattere anticipatorio e prevenire comportamenti contrari ai propri modelli.
Bandura ha approfondito i meccanismi e le condizioni che nel corso della socializzazione determinano l’attivazione e la disattivazione dei controlli morali interni, agendo così come cause del comportamento immorale da parte di persone e gruppi pur capaci delle più elevate forme di ragionamento morale. Egli ha individuato alcuni di questi meccanismi:

  • la giustificazione morale, attraverso la quale comportamenti socialmente deleteri vengono resi accettabili personalmente e socialmente attraverso una loro ricostruzione cognitiva o forme di ideologizzazione;
  • la dislocazione della responsabilità, nella quale opera un processo di attribuzione causale delle responsabilità di un atto a persone o a circostanze, per es., facendo riferimento all’autorità di superiori gerarchici, depositari del potere decisionale;
  • la diffusione della responsabilità, dove le decisioni del gruppo o le esigenze del sistema frammentano o oscurano le responsabilità individuali, in modo che tutti sono colpevoli e nessuno lo è
  • la non considerazione o distorsione delle conseguenze, nella quale opera una minimizzazione o una selezione strumentale nella rappresentazione delle conseguenze positive o negative dell’atto;
  • la svalutazione, realizzata attraverso il biasimo o la negazione di caratteristiche umane di altre persone.

Questi processi di disattivazione o disimpegno dei controlli morali non agiscono insieme e subitaneamente, ma in diversi modi e a seconda delle circostanze: vi è così una graduale diminuzione delle autosanzioni, che può portare a un progressivo allentamento delle capacità inibitorie.
Sulle base delle concezioni teoriche di Bandura, con una ricerca svolta in Italia, Caprara et al ( 1995) hanno messo a punto uno strumento standardizzato ( Scala di Disimpegno Morale ) atto misurare i meccanismi cognitivi del disimpegno morale in bambini della scuola elementare e preadolescenti.

Secondo F., non esistono predisposizioni innate a distinguere il bene dal male e alla base della formazione della coscienza morale vi è la lunga dipendenza della creatura umana dai suoi genitori oltre che il complesso edipico.
La situazione della conflittualità edipica e i mezzi con cui il bambino la affronta sono i costituenti fondamentali del Super-Io; fra le funzioni principali del Super-io vi sono quelle di coscienza morale e di auto-osservazione.
Il super-Io del bambino non si forma a immagine dei genitori, bensì a immagine del loro Super-Io di cui assimila i contenuti e, in particolare, i giudizi di valore, che così si trasmettono di generazione in generazione. È dall’azione critica e punitiva del Super-Io nei confronti dell’Io che derivano i sensi di colpa.
Alcuni studiosi di ispirazione comportamentista hanno formulato una teoria del doppio binario per quanto riguarda i rapporti fra lo sviluppo del ragionamento e quello del comportamento morale: il primo seguirebbe una sequenza stadiale su basi cognitive, mentre l’azione morale verrebbe sviluppata nel contesto dell’apprendimento sociale.

Ai fini dello sviluppo morale l’empatia può essere considerata come una disposizione cognitivo-affettiva che consente al soggetto di vivere lo stato emotivo di un’altra persona.
Hoffman (1991) ha distinto uno stadio più primitivo, detto di “empatia globale”, legato ai processi di contagio emotivo le cui origini filogenetiche si trovano nel mondo animale, da stadi successivi in cui la componente sociale-cognitiva assume un peso maggiore, stadi nei quali emerge la consapevolezza che è un altro a provare quell’emozione. Ciò consente il dispiacere simpatetico, che determina la partecipazione al dispiacere degli altri in quanto distinto dal proprio, e quindi i comportamenti di aiuto o di consolazione. Successivamente emerge la capacità di comprendere che gli altri hanno sentimenti e condizioni interne indipendenti dai nostri, e infine, si arriva ad una comprensione più generalizzata delle emozioni altrui.

Secondo Hoffman, il dispiacere empatico, un derivato della maturazione dell’empatia, si può trasformare in senso di colpa quando il bambino si rende conto di essere la causa del dispiacere dell’altro. Ciò richiede la presenza di un sia pur primitivo principio di attribuzione causale e la capacità cognitiva di distinguere fra comportamenti intenzionali o meno.Comprendere come l’altro pensa in una determinata situazione facilita la possibilità di mettersi dal punto di vista altrui e prevederne il comportamento.

Da alcune ricerche emerge che vi sono due tipi di disposizioni temperamentali che possono avere un peso significativo ai fini dello sviluppo della coscienza morale.
La prima è una componente di disagio affettivo e consiste nella maggior o minor propensione a sviluppare arousal, stati emotivi di paura, ansietà , sensi di colpa o rimorso in rapporto ad una trasgressione commessa o anticipata nella rappresentazione.
La seconda si esprime nella diversa capacità di resistere ad un impulso proibito, di esercitare un autocontenimento, di sostituire un atto desiderabile a quello proibito.
Queste tendenze non sono solo espressione di fattori biologici ma dell’interazione della natura del bambino e la sua esperienza relazionale.

Le teorie di Piaget e Kohlberg hanno contribuito a descrivere le grandi linee lungo le quali si sviluppa il pensiero morale; queste linee si ritrovano in culture differenti, anche se le ricerche transculturali indicano la necessità di caratterizzare forme di moralità che sono proprie di differenti contesti culturali e subculturali.
Uno dei fondamentali assi portanti di queste linee di sviluppo è quello che conduce da una moralità di tipo eteronomo ad una moralità orientata nel senso dell’autonomia e guidata da principi di tipo universale.
Si deve sottolineare che, malgrado le evidenti differenze tra le prospettive teoriche, emerge come centrale il processo di internalizzazione , che consente al bambino di sostituire progressivamente al controllo morale imposto da agenti esterni un sistema di principi interni legati all’identità personale e alla coerenza del Sé, che si mantengono permanenti e orientano il comportamento in circostanze ed occasioni differenti.

Fonte: (Riassunto da) “Psicologo verso la professione” , P.Moderato-F. Rovetto; ed. Mc Graw Hill

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