Le teorie tradizionali dello sviluppo del bambino si sono sostanzialmente focalizzate sulle questioni relative alla continuità dello sviluppo durante l’arco della vita: la crescita psicologica è stata spesso descritta come una progressione sistematica attraverso una serie di stadi comuni a tutti, che si succedono secondo un ordine precostituito. Ciascuno stadio avvicina il bambino alla maturità, rappresentata dal funzionamento adulto, considerando soprattutto i principi universali dello sviluppo, piuttosto che le differenze individuali.
La teoria freudiana, per esempio, aveva evidenziato negli stadi psicosessuali orale, anale, fallico, di latenza e genitale le tappe dello sviluppo. Piaget, invece, aveva sottolineato la progressione dei meccanismi cognitivi, attraverso processi di assimilazione ed accomodamento, dallo stadio sensomotorio, attraverso quello preoperatorio e concreto, fino allo stadio delle operazioni formali, in cui diviene attivo il ragionamento logico ed astratto dall’adolescenza in poi. Kohlberg estese l’approccio allo sviluppo morale identificando stadi corrispondenti a livelli diversi di maturità morale (preconvenzionale, convenzionale, ecc.). Gesell definì una mappa evolutiva, stabilendo una serie di pietre miliari nello sviluppo fisico, motorio e percettivo.
Anche Erikson considerò lo sviluppo come una progressione attraverso stadi, ma si differenziò dagli altri nel porre in rilievo l’importanza delle interazioni sociali e nell’estendere il concetto di sviluppo entro e non oltre la vita adulta. Egli si concentrò soprattutto sulle fasi di passaggio psicosociali, individuando stadi caratterizzati da compiti sociali definiti secondo l’età ed i momenti di crisi che coinvolgevano aspetti come l’identità, la vita intima e la capacità di generare.
Ciascuno di questi autori, insieme a molti altri, ha dato un notevole contributo alla comprensione dei processi implicati nello sviluppo. Gesell, per esempio, richiamò l’attenzione sull’importanza della maturazione biologica, Piaget su quella dei meccanismi cognitivi, Freud sul fatto che la vita interiore dei bambini implica forti pulsioni, bisogni da soddisfare e un’interpretazione continua dell’esperienza, Erikson sulla rilevanza degli eventi sociali, molti dei quali si verificano dopo l’infanzia.
Non possiamo non citare, fra le teorie classiche dello sviluppo, anche la teoria di Vygotskij le cui caratteristiche principali sono l’unità base di studio che è il bambino-attivo-in-un-contesto, la zona di sviluppo prossimale, le origini socioculturali del funzionamento mentale e la mediazione fatta dagli strumenti forniti dalla cultura per il funzionamento intellettuale.
Come appena detto, la maggior parte delle teorie evolutive si concentra sugli aspetti universali dello sviluppo, al contrario, Vygostkij ed i contestualisti, riconoscono sia le differenze individuali all’interno di una cultura, come zone di sviluppo prossimale ampie o ristrette, sia le differenze fra culture. Quella di Vygotskij è l’unica fra le teorie dello sviluppo a collegare alla psicologia idee provenienti dalla storia, dalla sociologia, dalla biologia, dall’arte e dalla letteratura. Questo contesto più ampio non è semplicemente un’ulteriore influenza sui bambini, al contrario, esso definisce i bambini stessi e le loro attività.
Per capire come mai una persona è diversa dall’altra è necessario iniziare dal concetto di maturazione biologica che, in senso stretto, costituisce la base della crescita. Non si tratta assolutamente di un processo automatico di trasformazione costituzionale dell’individuo già determinata al momento della genesi, bensì un processo di interazione fra potenzialità genetiche ed influenze dovute all’esperienza ed agli stimoli. Kagan motivò il suo dissenso verso la tendenza predominante di presumere che lo sviluppo si svolgesse come un progresso cumulativo fondato su una crescita lenta e continua. Possiamo riassumere brevemente i punti di tali argomentazioni. In primo luogo si pone al centro della discussione una concezione psicologica che intende lo sviluppo come una progressiva costruzione, per cui ogni cambiamento costituisce un progresso psicologico. Ma non è così che cresce il cervello: lo sviluppo implica “paradossalmente” una perdita di neuroni attivata da un potenziamento delle capacità di selezione. Inoltre, diventando più vecchi perdiamo molti riflessi, capacità e sensibilità che prima funzionavano perfettamente. Per alcuni aspetti le capacità infantili sono superiori a quelle adulte e si attenuano o si perdono quando hanno esaurito il loro scopo, come riferiscono i coniugi Rutter nel loro libro nel quale si ribadisce l’importanza di considerare l’intero arco della vita come un periodo di sviluppo verso nuove, modificate forme di adattamento.
Una seconda questione è se lo sviluppo proceda per passaggi rapidi e improvvisi o per cambiamenti graduali. Molti sono gli esempi di passaggi rapidi (capacità riproduttiva nella pubertà), moltissimi quelli lenti (linguaggio, competenze sociali): viene considerata la possibilità di coesistenza integrata fra funzioni che si sviluppano rapidamente e quelle invece che lo fanno lentamente. Un terzo punto di dibattito riguarda l’ipotesi secondo cui un nuovo elemento evolutivo cancella gli effetti dei precedenti. Se un comportamento precoce cessa di manifestarsi non è detto sia perduto per sempre. Molti sono gli esempi del riemergere di tali comportamenti nel caso di danni cerebrali o di mutamento di ambiente.
Come ha osservato Hinde, l’attacco di Kagan ai concetti di continuità e concatenamento ha sopravvalutato la discontinuità dello sviluppo: esso costituisce tuttavia un correttivo necessario e utile alle precedenti e fuorvianti convinzioni che presumevano la mancanza di riorganizzazioni radicali che costringevano in un determinismo ottuso le capacità dell’individuo di modificare il suo percorso di vita.
Come afferma Sameroff le teorie dello sviluppo differiscono nell’enfasi che mettono sui contributi al successivo comportamento dovuti alle caratteristiche della persona ed alle caratteristiche dell’ambiente. L’importanza della natura e dell’educazione per lo sviluppo può essere considerata sotto due aspetti. Il primo è se esse diano o meno un contributo, e il secondo se questi contributi siano di tipo attivo o passivo. Riegel ha collocato i modelli di sviluppo in quattro categorie che riflettono diverse combinazioni di persone e ambienti attivi e passivi. Nella categoria “persona passiva-ambiente passivo” ha collocato le teorie meccanicistiche di Loke e Hume: questo modello è stato la base delle teorie dell’apprendimento nelle quali fattori come la continuità degli stimoli o il loro essere recenti, o la loro frequenza determinano il modo in cui esse saranno codificati nella menti che li riceve. In una seconda categoria, la persona passiva è combinata con un ambiente attivo. Qui si trovano gli approcci di Skinner alla modificazione del comportamento, nei quali la persona che opera il condizionamento struttura attivamente l’input per modificare il comportamento dell’individuo in determinate direzioni, ma si presume che la persona non contribuisca al risultato indipendentemente dall’esperienza. I programmi comportamentali per la modificazione dei problemi infantili rientrano in questa categoria.
La terza categoria contiene il concetto della persona attiva, ma mantiene quello dell’ambiente passivo. In questo gruppo rientrano le teorie cognitive di Piaget e le visioni linguistiche di Chomsky. Piaget vede la persona come un costruttore attivo della conoscenza basata sull’esperienza dell’ambiente. L’ambiente è una parte necessaria dello sviluppo, ma non ha un ruolo attivo nella strutturazione del pensiero o dell’azione. Similmente, Chomsky vede lo sviluppo del linguaggio come un’applicazione, da parte della persona, di categorie linguistiche innate all’esperienza linguistica. L’organizzazione di tale esperienza non è un fattore determinante della risultante competenza linguistica. Nella quarta categoria si trovano quei modelli che combinano una persona attiva con un ambiente attivo. Riegel considera questi modelli come derivanti dalle interpretazioni della natura dialettica dello sviluppo, nella quale le azioni dell’individuo cambiano la realtà e, a loro volta, i cambiamenti nella realtà determinano il cambiamento dell’individuo. Sameroff e collaboratori hanno inglobato questo processo nel loro modello transazionale di sviluppo. Secondo questa visione, i risultati evolutivi non sono un prodotto delle caratteristiche iniziali del bambino o del contesto, né dalla loro combinazione. Gli esiti sono il risultato dell’azione reciproca tra il bambino e il contesto nel tempo, in cui lo stato dell’uno influenza il successivo stato dell’altro, in un processo dinamico continuo.
Fonte: (Riassunto da) “Psicologo verso la professione” , P.Moderato-F. Rovetto; ed. Mc Graw Hill
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